mercoledì 15 maggio 2013

Cinque Terre, patrimonio mondiale dell’umanità



Chi non conosce le Cinque Terre forse fa fatica a comprendere come la naturale bellezza si mescoli a un romanticismo severo e commovente insieme. 
Una lingua di incanto tra terra e mare, lungo una rocciosa costa frastagliata, arrampicata su sentieri e mulattiere che si aprono su panorami indescrivibili, con quel terrazzamento di muretti a secco dove la vite e l’olivo godono splendide condizioni di vita.
Borghi surreali eppure così vivi, nelle faticose salite, nelle impensabili strettoie, nei colori schizzati da un pittore geniale quanto sentimentale.
Profumo di limoni, casse di acciughe, turisti e emozioni. Sulla Via dell’amore. O a spasso senza meta. O su e giù dal trenino che collega Monterosso a Vernazza a Corniglia a Manarola a Riomaggiore. Magari appesi, vista mare, con gli occhi che frugano in quel fondale cristallino. Oppure a curiosare tra arte e storia, immersi in un’atmosfera unica, quella del viandante rapito…
Con la montagna e il mare che si toccano, nelle linee austere delle case-torri di stile genovese, negli slarghi che ospitano il ristoro di escursionisti, bagnanti e anime locali, c’è una concentrazione tale di elementi seducenti che quasi dimentichi di fare fotografie. Non sono posti da ricordare, sono luoghi da vivere.
Nella durezza di quelle condizioni tanto suggestive quanto difficili si invitano i pigri a stare al largo. Le Cinque Terre sono patrimonio dell’umanità che ama la bellezza autentica. L’ambiente a tratto aspro ha la potenza di ammaliare per la sua unicità, per gli scorci inimmaginabili, per le connotazioni intense.
Le Cinque Terre non si possono raccontare. Armatevi di buon passo e voglia di mare e monti e ficcateci cuore e naso dentro. Lo spettacolo è tutto lì, nel respiro e nel sudore. Nel bagno che rinfranca, nello sguardo che si riempie per sempre.

giovedì 2 maggio 2013

Piazza Demetrio Stratos a Oppido Lucano


“Sperimentatore della voce” è già una serenata. Come un pentagramma la targa suggerisce suoni, arrivano all’orecchio così, in un volo di ricordi, onde di una leggenda. A Oppido Lucano, in una piazza che la memoria di Demetrio Stratos invade improvvisamente di musica, fai uno di quegli incontri che non ti aspetti, che non capisci neanche perché capitano e ti fanno aprire la bocca di sorpresa con gli occhi che ridono. 
E’ morto ragazzo, Demetrio Stratos, lasciandoci orfani del suo talento e della sua originalità. Eppure basta il pensiero, quella voglia di conservare il tesoro e nulla è davvero perduto. C’è, intatta, la lezione, e soprattutto l’amore, quella sperimentazione geniale quanto gioiosa che rompeva gli schemi e andava oltre ogni confine.
Scienziato della voce, Demetrio Stratos. Cantante e musicista unico nel panorama mondiale per virtù forse inspiegabili e per un percorso che ancora ci affascina.
Dai Ribelli agli Area o come solista, nella fusion e nel rock alternativo, forse avete tutti ancora in mente Pugni chiusi o Oh darling. Come uno strumento le labbra producevano melodie da brivido.
Lo ritrovi nella piazza di Oppido Lucano (PZ) come in una via, a Vaglio Basilicata, che non sono come l’auditorium degli studi di Radio Popolare a Milano ecco.
E d’altra parte questo è il bello di un viaggio, trovare anche quello che non cerchi eppure ami. Capire che i prodigi, quelli veri, sono sempre nell’aria e puoi toccarli ovunque. Basta avere il cuore in valigia, pronto ad abbracciare il soffio. Soprattutto un soffio così portentoso.
Demetrio Stratos patrimonio dell’umanità.

sabato 27 aprile 2013

Arona prima tappa del Lago Maggiore (NO)


Un novarese fa tappa ad Arona un numero di volte praticamente incalcolabile lungo la vita. A fargli concorrenza i milanesi, quelli del varesotto e i vercellesi ma anche tedeschi e olandesi, amanti fedeli del Lago Maggiore.
La riviera del Lago Maggiore, fino alla vicina Svizzera, è d’altra parte zona di enormi bellezze naturali e di incantevole pregio turistico. Non solo, è un piccolo mare in una dimensione collinare straordinaria, ricca peraltro di attrattive artistiche e storiche oltre che ambientali. 
Per il risvolto dell’accoglienza non guasta ricordare la sterminata offerta di strutture alberghiere, residence, campeggi, ristoranti, bar, locali serali e occasioni di divertimento.
La premessa è d’obbligo, almeno per chi non ha grande conoscenza di Arona.
Però il viaggio narrativo sta nelle atmosfere, che ad Arona sono un miscuglio di vita
cittadina, aria vacanziera tutto l’anno, angoli chic, spazi visivi di relax, ritmi di paese e incroci di lingue. Ci vai a prendere il sole o a pescare. Ti imbarchi per una splendida gita in traghetto o ti godi lunghe passeggiate. Vai a goderti una romantica notte stellata o tiri tardi con gli amici tra un drink e quattro salti sotto la musica. E, chissà come, avverti quella libertà che ti fa stare lì e altrove in un sol colpo. Con i pensieri distesi sull’acqua all’ombra della fitta e colorata vegetazione e quel passo morbido che prendi quando annusi con una calma che non sapevi più di avere.
Tra i giochi e le luci che fanno mille occhiolini, ai piedi di San Carlone (Statua di San Carlo Borromeo), vaghi in una riproduzione del mondo in miniatura. Come se fosse lì a farti assaggiare quello che esiste per metterti appetito. Magari in bassa stagione per toccare i riflessi del silenzio. O nella folla estiva per respirare gli odori in movimento.
Arona non è speciale, se pur bella. E’ un concentrato di momenti e di immagini, tanti quanto bastano per farti fare scorta di sensazioni e desideri, di sospiri e di  grida. Un cortometraggio intenso. Forse solo il principio di quel tour di scoperte entusiasmanti che è il Lago Maggiore.

lunedì 15 aprile 2013

Novara, Basilica di San Gaudenzio: la scalata delle emozioni


La Basilica di San Gaudenzio, con la celebre cupola dell’Antonelli, non è solo il simbolo di Novara, è un monumento di fede, arte e storia che attira “scalatori” da tutto il mondo.
Da aprile 2013 la cupola, dopo i restauri, è di nuovo patrimonio dei novaresi e dei turisti, visitabile con l’ardua scalata che consegna alla vista un panorama che leva davvero il fiato. Nelle splendide giornate primaverili lo sguardo abbraccia l’intera città, si estende oltre le risaie della provincia, si affaccia sulle maestose Alpi e raggiunge la Madonnina del Duomo di Milano.
Emozione allo stato puro.
La Basilica è molto bella, meta del cuore dei novaresi che visitano lo Scurolo con l’urna
del santo protettore e patrono offre innumerevoli elementi di speciale interesse artistico e storico, dalla cappella della buona morte, alla cappella della circoncisione e a quella del crocefisso, della Madonna di Loreto e dell’ Angelo custode e a quella del Santissimo Sacramento, con tante opere di pregio, fino al Polittico di Gaudenzio Ferrari e alla Sala del Compasso.
Ma indubbiamente è l’ardita e maestosa cupola antonelliana a carpire maggiori attenzioni, così geniale e significativa, visibile da qualsiasi arteria di accesso alla città, da incredibile distanza. Quei 121 metri di cupola che l’architetto ingegnere Alessandro Antonelli volle concepire e costruire secondo un'idea illuminata e straordinaria in perfetta aderenza al territorio sono, ancora oggi, uno dei più alti (o il più altro) edifici al mondo in sola muratura. Proprio così! Antonelli volle infatti utilizzare solo materiale locale, mattoni e calce, e progettò un sistema a cerchi concentrici che si innalzano, sempre più piccoli, verso il cielo scaricando man mano il peso sulla struttura portante così da scongiurare pericoli fatali (in caso di cedimento la struttura collasserebbe su se stessa e non sugli edifici circostanti).
Adesso è visitabile interamente, anche oltre il sottotetto dell’Abside che accoglie la sala del compasso alla quale si accedeva attraverso il settecentesco campanile dell’Alfieri. I visitatori possono arrivare in vetta, naturalmente con la guida, pronti all’euforia e alla commozione.
Lassù ad accogliere fedeli, studiosi e appassionati svetta la statua del Cristo Salvatore, alta quasi 5 metri, in bronzo ricoperto da lamine d’oro. E…il mistero di un compasso e di un grande architetto che tanto volle un “segno” importante che fosse intimamente legato alla città. Una sfida interessante per tutti, forse una eccezionale eredità.

giovedì 11 aprile 2013

Ciciu del Villar


O empi incorreggibili, o tristi dal cuore di pietra!
In nome del Dio vero vi maledico. Siate pietre anche voi!

La leggenda tramanda le parole di San Costanzo ai soldati romani. E, quale che sia la realtà, ecco i Ciciu del Villar, straordinaria composizione naturale di terra, roccia magmatica, gneiss occhiadino.  
In migliaia di anni le centinaia di stravaganti massi detti Ciciu (pupazzi in dialetto) sono stati investiti da altre credenze e rivestiti di molte storie: sono diventati quello che rimane dopo una sabba di streghe interrotta da un uragano oppure bizzarre creazioni notturne delle masche (le masche sono figure singolari della credenza popolare piemontese, donne apparentemente normali dotate di poteri soprannaturali).

Oggi il fenomeno si spiega scientificamente ma i visitatori amano l’approccio misto, all’ambiente con le sue evoluzioni rigorosamente tracciabili e al fascino misterioso della terra e delle anime che la popolano.
Non sono enormi funghi ma in qualche modo ne replicano le forme, pur con quei dettagli che li fanno assomigliare a gioielli di architettura o evocano profili umani.
Considerando le dimensioni (da uno fino a dieci metri d’altezza con un “gambo” di tre metri di diametro in media e un “cappello” che può arrivare agli otto metri) intuite al volo quale scena si possa parare dinanzi agli occhi: un’avventura vera.
Il percorso tra i sentieri dei Ciciu è avvincente, non c’è dubbio. Il gioco geologico solletica la fantasia e lo stupore. Un set cinematografico in perenne ciak, tra fitti boschi abitati da diverse specie di picchi, rapaci e notturni come civette, gufi, barbagianni, poiane, allocchi, falchi pellegrini e una ricca fauna di zona.
Ciciu del Villar, Villar San Costanzo (CN), Piemonte.

lunedì 8 aprile 2013

Gente e vita sarda


Come una manciata di parole sapienti che narrano una storia. Attimi fissati a svelare, nitida, la scena della vita. Il tratto di Aldo Riso è quello del verismo declinato nella poesia delle suggestioni.
Di una realtà consegnata franca e disadorna, nei toni tenui e essenziali dell’essenza. D’altra parte, proprio nella dignità di anime e cose, non vi è celebrazione ma rappresentazione, in elementi che non figurano altro che materia e momenti di esistenza.
Di gesti che si intuiscono, di parole che possiamo immaginare, di un’ora calda e di un cammino di lavoro e abitudine. Di uomini e donne di terra. Di un carro che l’asino tira ogni giorno. Di panni stesi a un palmo dal cielo. Nelle pieghe calde di un’aria che consegna, eterne, le atmosfere.
(Gente e vita sarda, acquerello di Aldo Riso)

sabato 6 aprile 2013

Spicchi di Val Grande


Cammino per le valli ossolane da quando ero bambina. Non basterà mai, potrei tornarci ancora migliaia di volte e continuerei a scoprire emozioni e scorci nuovi.
Da Premusel (Premosello Chiovenda) due esperti escursionisti e la guida si avventurano per il Balm de la Vegia (Fajera, alta valle del Nibbio) sulle tracce di un leggendario amore, mi piace guardare i loro passi che si avviano forti e curiosi.
Gli altri sono alle prese con le avventure nel canyon molto verticale che supera il mio coraggio. O a caccia di sentieri più o meno praticabili nel “vuoto” della selvaggia e straordinaria Val Grande. Forse a Pogallo o chissà dove. Wilderness, lo sento da bocche d’oltralpe, amanti dello spazio autentico e incontaminato da conquistare a sudore e meraviglia. Le tracce dell’uomo ci sono, in verità, ma silenziose e sepolte dal tempo.
Nell’aria paciosa mi muovo lenta, sotto la pelle che si scalda e si colora al sole. Non ho meta, nel regno dello sguardo. E poi la sorpresa della natura è questa, cercare niente e trovare tutto. Perché hanno ragione quelli che si tuffano nel wilderness, il vuoto è pieno.
Incontro attimi e risposte. Magari nella fatica delle gambe e del fiato, magari nella sosta di un alpeggio o a un passo da due innocue nuvolette che danzano nel cielo terso.
Una salita, che credo un corridoio verso una vetta, e mi affaccio su una cartolina.
Luccicano, i tetti in beola delle baite.